“Il mondo esterno non è altro che uno specchio, una rappresentazione dell’interno.
Ogni cosa e ogni varietà di cose della natura temporale devono avere la loro radice o
la loro causa nascosta in qualcosa che è all’interno”
(William Law)
Buongiorno a tutti, mi scuso per la mia involontaria assenza e vi ringrazio per aver accolto l’invito del dottor Nader Butto alla conoscenza di questo approccio più ampio ed innovativo nell’ambito della salute.
Personalmente sono riconoscente verso Nader per l’opportunità che offre con questi incontri a tutti noi di poter intraprendere un nuovo dialogo, di conoscerci e di condividere interessi comuni.
Siamo qui per un tema che sta molto a cuore a tutti noi: la nostra salute. Lo affronteremo sia dal punto di vista psicologico che fisico dato che in occidente siamo abituati a dividere questi due aspetti, in realtà molto intrecciati al punto da esser parte dello stesso “tutto” che ci contiene.
Mi spiego meglio: se consideriamo il corpo come il mezzo che ci permette questa esperienza al mondo e l’anima come l’energia che infonde la vita al corpo, come possiamo considerare tutto ciò che è psy come un qualcosa di estraneo, a parte? E come possiamo separare l’anima di una singola persona da un concetto ben più ampio di mondo spirituale che ci circonda?
Questi due aspetti per chi conosce le teorie del dottor Butto sono già ampiamente noti, per gli altri sono certa che lui sarà molto più esaustivo di me nell’illustrarveli. Mi riferisco anche alla teoria dei campi morfici di Rupert Sheldrake, biologo e filosofo inglese, nato nel 1942, che sostiene che un’eredità viene trasmessa non solo tramite i geni, ma anche attraverso i campi morfogenetici: campi di forza che trasmettono informazioni sulle forme che vegetali e animali dovranno assumere sviluppandosi.
I campi morfici, che funzionano come campi energetici, sarebbero insomma responsabili della forma assunta da una gamba rispetto a un braccio, e da un organo rispetto a un altro; Nader ne ha colto la forma e spiega come la vita dell’Universo sia governata da essi.
Mi occupo di psicologia e psicosomatica e oggi vi parlerò di questo aspetto alla luce della mia esperienza.
Nella mia pratica quotidiana il metodo ha facilitato la diagnosi e velocizzato l’intervento di aiuto, come potrete dedurre dai due casi citati nel libro di Nader, ma ciò che vorrei più evidenziare è l’esperienza della liberazione emozionale.
Tutti noi focalizziamo la nostra attenzione là dove c’è qualcosa che fa male, quindi principalmente sul nostro corpo: è da esso che ci aspettiamo un sollievo, speriamo che il trattamento ci guarisca. Sappiamo però che l’anima e lo spirito giocano un ruolo decisivo nella guarigione e che spesso i dolori dell’anima sono più intensi di quelli del corpo.
Non a caso abbiamo in precedenza introdotto il concetto di campo morfico: se questo determina dal punto di vista biologico una differenziazione cellulare, dal punto di vista psicologico coincide con diversi campi di coscienza. Tutti noi viviamo in un campo di coscienza che condividiamo con gli altri in cui le anime interagiscono.
Ognuno di noi occupa una determinata posizione nel campo: ci conformiamo ad esso o ci differenziamo a seconda del ruolo che ci viene assegnato al suo interno. Questa possibilità la viviamo limitatamente al ruolo che ci viene concesso dalle persone con cui interagiamo e quindi la nostra evoluzione ed esperienza in questa vita è strettamente legata alle difficoltà del campo stesso in cui viviamo.
Ci conformiamo quando riusciamo a rispettare il nostro ruolo, il nostro scopo di vita, mentre ci differenziamo quando le interazioni con il campo stesso (gli altri, le difficoltà della vita…) ci portano fuori dal nostro cammino, allontanandoci dall’obiettivo.
Di conseguenza, quando una persona viene da me per un aiuto psicologico, devo essere molto presente e consapevole per cogliere quello che mi sta portando e per poterle dare un aiuto concreto che sia il più possibile neutro e che lasci sempre la persona libera di gestire la sua vita.
In quanto psicologa ho la possibilità di cogliere e valutare meglio l’effetto delle parole sulla mente soprattutto durante un processo di consultazione; ho anche il dovere di saper riconoscere quegli stati spontanei di trance che permettono un dialogo diretto con la mente “inconscia” (un termine che indica quelle funzioni fisiche e psicologiche che operano al di sotto della soglia di attenzione).
Sottolineo il concetto di dover essere in grado di riconoscere certi stati di trance perché in quei momenti la persona con la quale sto dialogando risulta fortemente suggestionabile e quindi posso trasmettere messaggi influenti, sia positivi che negativi, con o senza esplicita intenzione.
Ciò che un operatore della salute dice viene sempre percepito dal paziente come autorevole ed insindacabile per cui risulta particolarmente importante porre l’accento sul modo in cui si trasmette questa “verità” all’altro.
Il codice umano del dottor Butto ci permette di aprire facilmente questi canali comunicativi con chi interagiamo e per questo ribadisco ancora l’importanza della consapevolezza del terapeuta.
Fin qui siamo stati su un piano abbastanza concreto, vi chiedo ora di seguirmi in un aspetto più sottile, che ritengo sia il nucleo di quanto vorrei trasmettervi con queste poche righe.
Secondo le ricerche condotte da un gruppo di ricercatori californiani dell’Istituto HeartMath sul campo energetico umano, il cuore è il più potente generatore di energia elettromagnetica nel corpo umano: il campo elettrico prodotto da esso è 60 volte maggiore in ampiezza rispetto a quello cerebrale; inoltre il campo magnetico prodotto dal cuore ha un’intensità più di 50 volte maggiore di quello generato dal cervello.
Traducendo il concetto in termini pratici, i segnali elettromagnetici del cuore hanno la capacità di influenzare le persone attorno a noi per sincronizzazione di onde. Il segnale elettromagnetico emanato dal cuore di una persona può influenzare i ritmi cerebrali dell’altra.
I risultati suggeriscono che lo scambio di informazioni sia influenzato dai nostri stati emotivi e dai nostri processi interiori secondo quanto Sheldrake chiama risonanza morfica.
Ogni stato mentale ed ogni sua attività, compresi sogni, esperienze mistiche, stati alterati della coscienza, hanno una loro struttura, e queste strutture possono spostarsi da una persona all’altra grazie alla risonanza morfica. Il veicolo attraverso il quale le informazioni vengono trasmesse da un sistema ad un altro viene definito “risonanza morfica”.
Se la comunicazione è così sottile comprenderete l’importanza che il terapeuta operi in uno stato di piena compassione e di massima consapevolezza.
La mia professione mi impone di attenermi ad un preciso Codice Deontologico (costruito anni fa sulla base della scienza fino ad allora nota, quella della parola); le mie riflessioni tuttavia sono volute andare oltre, come riportato di seguito, perché ritengo possano essere una base di partenza per sostenere quanto Nader ci ha donato e poterlo condividere in modo adeguato:
Art 3
“Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stesse e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.
Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizzare indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze”
Art 5
“Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate”.
Art 26
“Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte.
Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l’efficacia”.
Art 37
“Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle proprie competenze.
Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro professionista”.
Le parole che ho evidenziato mettono in primo piano quanto sia importante operare per la diffusione del benessere, consapevoli dei propri limiti e competenze personali e professionali, evitando di usare in modo inappropriato quanto acquisito.
Presumo che lo scopo del dottor Nader, in qualità di ricercatore e medico (prego mi voglia perdonare se non sarò abbastanza esauriente nell’esposizione), sia la diffusione delle sue ricerche per favorire il benessere delle persone; qualsiasi fine diverso arrecherebbe danni diretti o indiretti a lui, a coloro che seguono il suo metodo con adeguata dedizione e soprattutto a tutti coloro che si affidano a noi nella speranza di un aiuto per superare dei momenti difficili.
Insisto su questi temi perché all’interno di quello che potrebbe essere un armonico dialogo tra scienza ed anima spesso le persone che cercano aiuto hanno un’impellente bisogno di ottenere una guarigione rapida, semplice, che arrivi dalle “magiche” parole o dalle mani del terapeuta: si trovano quindi in uno stato di facile suggestionabilità e disposte ad accettare con la massima fiducia ciò che proponiamo loro.
Sta quindi a noi, che siamo in una posizione “agevolata”, porci al di sopra delle parti ed osservare la situazione da una posizione neutra e decidere se:
- siamo in grado di affrontare ciò che ci viene portato dal paziente,
- siamo in grado di gestirlo con lui,
- possiamo usare in modo adeguato il metodo che conosciamo,
- abbiamo metabolizzato a sufficienza le nostre metodologie per essere capaci di contenere tutte le paure e le altre emozioni che il paziente dovrà affrontare.
Nella promozione di un cammino di consapevolezza va illustrato al paziente come si procederà per fargli comprendere come questo percorso sia la strada da percorrere con le “proprie gambe”, lasciandosi guidare con fiducia da noi che grazie alla scienza siamo in grado di decifrare quei sottili rapporti di forza che possono alterare il benessere di un individuo.
Se smontiamo il concetto del “magico intervento”, pur mantenendo il nostro “potere terapeutico”, siamo in grado di proporre e portare avanti un’alleanza terapeutica che permette al nostro interlocutore di riconquistare consapevolezza e stima di sé con tutti i benefici che ne conseguono. Non creiamo quindi uno schiavo, dipendente dalla terapia, qualunque essa sia, ma una persona in grado di camminare nel mondo con il ritmo e la lunghezza del suo passo.
Essere terapeuti “consapevoli” ci permette di cogliere il lato sottile delle cose, di sentire la vibrazione di quell’anima, il campo elettromagnetico di quel cuore, per poter risuonare con esso finché possibile. Volutamente non parlo di bisogni o di necessità perché un’interazione tra anime permette un rapporto diverso, alla pari, tra persone diverse per esperienze e conoscenze ma non per valore.
La scienza che Nader ci sta portando è il derivato di millenni di saggezza e va quindi lentamente acquisita anche da noi perché, come la vita, è complessa e va approfondita studiando e metabolizzata per poter poi esser trasmessa.
All’inizio della mia attività di psicologa avevo la sensazione che ciò per cui avevo studiato, per quanto fosse la mia passione, mi avrebbe fatto intraprendere un “lavoro di serie B” rispetto a quello del medico; forse perché percepivo ancora l’emergenza del sollievo dato dal corpo o forse perché mi sentivo inserita in una cultura che poco comprende i complessi meccanismi della mente e quindi non riesce a dare sufficiente peso scientifico (inteso in senso occidentale) alle teorie della mente. Ma ora la prospettiva si è rovesciata: il mio intervento è soprattutto nel “fare anima” (James Hillman).
Interagire con l’anima è una modalità più profonda e potente che lavorare con il corpo di una persona perché si entra in sinergia con la vibrazione, la vera essenza dell’individuo, e non solo con il mezzo che ci permette di stare in questo mondo per fare esperienza. L’anima è l’energia che permette il nostro vivere, dalla differenziazione cellulare alla realizzazione spirituale.
È necessario essere responsabili (abili nel rispondere in modo adeguato) e comprendere (prendere nel profondo di noi stessi) l’importanza della parola compassionevole (che ha la stessa passione, che condivide la stessa passione) e dell’energia sottile con cui interagiamo nella terapia.
L’intenzione e le vibrazioni che abbiamo devono permettere che quella forza, quell’energia universale che consente il movimento della vita, possa scorrere liberamente anche nella terapia.
Questo atteggiamento consiste nell’essere sempre presente a ciò che accade nel momento in cui accade, essere completamente presente in ogni attimo sia per accogliere, sia per lasciar andare ciò che arriva perché l’energia universale è un movimento creatore e non sappiamo a priori che direzione prenderà, possiamo entrare solo in armonia con essa e lasciare che accada.
Ci concediamo così di essere d’aiuto nelle esperienze di liberazione emozionale, permettendoci di non guardare solo dove vogliamo noi, solitamente non vedendo, ma di unire la visione della mente con quella del cuore per cogliere la pace (che è quiete in movimento) ed il fluire della vita quando non ci si oppone ad essa.
Non ha senso opporsi all’energia della vita perché il nostro giudizio sarebbe comunque limitato, perché la nostra visione è troppo ristretta rispetto a quella dell’universo che ci ha creati per uno scopo che non conosciamo.
La guarigione inizia nell’anima e solo attraverso essa si può curare il corpo.
L’umiltà, la compassione e l’amore permettono al terapeuta di aprirsi e lo rendono capace di accogliere l’esperienza piena, lasciando che accada ciò che deve accadere.
L’amore risana perché non esclude e non rifiuta ciò che è diverso, è un sentimento di accettazione che spesso possiamo ritrovare al termine dei nostri interventi in pazienti che hanno trovato quella pace profonda che li ha riportati in armonia con se stessi.
Come diceva Rumi
“Fuori al di là di ogni idea di giusto o sbagliato agire,
vi è un campo. Ti incontrerò lì.
Quando l’anima si mette a giacere in quell’erba, il mondo ha una tale
pienezza che non se ne può parlare.
Idee, linguaggio, e persino dire “l’uno e l’altro”, sono cose che non hanno più senso.”