“… tenere a bada l’insopportabile condizione di assenza e di solitudine che domina la vita presente. Il lutto è essenzialmente doloroso sentimento del presente, oppure struggente desiderio dell’assente”
Il lutto di per sé non è una condizione di malattia tuttavia può determinare l’insorgere di “altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica” infatti spesso al lutto possono essere ricondotte diagnosi quali quelle del disturbo dell’adattamento, disturbo depressivo maggiore o disturbo post traumatico da stress (nei casi più gravi).
Facciamo alcune premesse relativamente al lutto ed alla sua definizione in termini di “malattia”.
La morte di una persona amata genera, normalmente, una reazione conosciuta come lutto.
Secondo il DSM-IV si parla di lutto quando l’oggetto dell’attenzione clinica è una reazione alla perdita di una persona cara.
Si tratta di una reazione biologicamente predisposta (è infatti osservabile, seppure in modo transitorio, in molte specie animali, e non solo tra i mammiferi), ma che l’evoluzione culturale umana ha plasmato in modo assolutamente unico, tanto da poter essere considerato un tratto altamente specifico. L’uomo è, fra i viventi, il solo che seppellisce, onora e ricorda i propri defunti, anche a distanza di molti anni, e spesso oltre la durata stessa della propria vita, attraverso i monumenti funebri (che tanta parte hanno nella storia di molte civiltà).
Il soggetto in lutto considera “normale” l’umore depresso, anche se può sentire il bisogno di ricercare un aiuto professionale per alleviare i sintomi come insonnia o anoressia. La durata e l’espressione del lutto “normale” variano in modo considerevole tra i diversi gruppi culturali. Una diagnosi per individuare la copresenza di altri sintomi che non sono direttamente riconducibili ad una reazione “normale” di lutto può essere utile per differenziarlo da altri disturbi.
La funzione del lutto è verosimilmente quella di consentire, grazie al prolungamento simbolico del legame, una sorta di equilibrio tra l’esigenza di conservare l’attaccamento precedente e quella di stringerne di nuovi, o di dedicarsi pienamente agli affetti che restano.
Quando questo equilibrio è raggiunto in modo soddisfacente, il lutto si risolve in una convivenza non (troppo) conflittuale tra ricordo della persona defunta (che come tale non può né deve essere cancellato) e rinnovata capacità di attaccamento alle persone viventi ed alle occupazioni quotidiane.
Esistono, in linea di principio, reazioni al lutto che non assumono mai, ne’ in fase iniziale ne’ in tempi successivi manifestazioni clinicamente rilevanti (i soggetti tendono anzi a percepire come del tutto normale il proprio dolore ed il proprio isolamento, e pertanto a rifiutare le eventuali cure proposte), e che tuttavia sono associate a quote molto elevate di sofferenza soggettiva. Per contro esistono reazioni che inducono ad una sorta di pressoché completa anestesia emozionale che possono implicare grave compromissione dell’esercizio delle normali abilità personali e scadimento della qualità di vita.
D’altro canto, reazioni di lutto qualificabili come “patologiche” o “complicate” non sono necessariamente più gravi, anzi si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che proprio la patologia rappresenti una forma, seppur disadattativa, di sollievo a fronte di una condizione psichica altrimenti insopportabile.
La trasformazione del lutto in vero e proprio disturbo, come pure in una condizione medica generale (solitamente ad insorgenza più tardiva), rappresenta allora non tanto una condizione più “grave” rispetto al lutto cosiddetto “fisiologico”, ma uno degli esiti possibili in presenza di determinate condizioni facilitanti.
È importante valutare quindi non solo la malattia ma guardare da una parte alla pluralità dei diritti lesi (infatti l’integrità delle relazioni familiari è da considerarsi un diritto fondamentale al pari di quello alla salute), e dall’altra alla concreta fenomenologia della perdita subita, così come essa si manifesta nelle “ripercussioni negative sul valore uomo”, senza filtri categoriali.
L’oggetto del risarcimento, in caso di morte di un familiare ingiustamente cagionata da un evento imputabile a terzi, deve considerare tutte le conseguenze negative derivanti dalla perdita del legame familiare, di cui l’eventuale malattia psichica rappresenta solo un aspetto, e spesso neppure il più importante.
Malgrado il riconoscimento del danno da lutto non possa affievolire il dolore di un genitore per un figlio, di una sorella per un fratello etc. tuttavia può almeno dare la sensazione di avere ottenuto “giustizia” per una perdita che comunque non potrà mai trovare un risarcimento adeguato.