Molti statunitensi giurano di aver visto, nel giorno dell’attentato a Kennedy, immagini che in realtà sono comparse solo in seguito su «Life». È uno dei tranelli della memoria: un testimone può ricordare in buona fede dettagli mai visti, se fuorviato da indizi ricevuti più tardi. Gli investigatori avvertiti ci stanno attenti, ma è un terreno scivoloso: anche solo chiedere dello «schianto» anziché dell’«urto» evoca ricordi di auto più veloci.
Cindy Bethel, della Mississippi State University a Starkville, ha trovato un modo per aggirare il problema: le domande deve porle un robot.
Cento volontari hanno assistito alla proiezione di una scena di furto e poi sono stati interrogati, per metà da un ricercatore e per metà da un robot umanoide. In metà di ciascun gruppo le domande citavano oggetti che nel video non c’erano. E, come atteso, chi le ha sentite ha spesso ricordato di averli visti davvero, dando il 40 per cento in meno di risposte esatte rispetto a chi non era stato fuorviato. Ma solo nel gruppo interrogato da una persona: quando le identiche domande erano poste da un robot, l’effetto spariva.
Lo studio è stato presentato alla ACM/IEEE Human-Robot Interaction Conference di Tokyo e la polizia statunitense si ai già detta interessata a un robot certificato per gli interrogatori, specie per i bambini, molto sensibili alle suggestioni. Resta pero un dubbio: se non siamo sensibili al robot perché lo avvertiamo come un oggetto estraneo, la diffusione di robot domestici sempre più umanoidi potrebbe cambiare questa percezione.
Giovanni Sabato
(Mente & Cervello –Ed. Le Scienze – Aprile 2013)